lunedì 16 novembre 2015

Qual è il metro di misura?


Un gruppo di studenti universitari rivendica il diritto alla libertà del popolo. Si riunisce segretamente perché pensa sia arrivato il momento di dire no: no alla miseria, no alla repressione, no alle guerre che riducono in povertà il popolo per mantenere le ricchezze del sovrano. Credono sia possibile un’altra vita, diversa da quella che stanno vivendo e che sentono come imposta dall’alto. Ritengono di poter convincere il popolo delle loro idee e così di poter ottenere la libertà.
Un semplice “criado”, un servitore, un popolano ascolta incredulo quei discorsi e si chiede da cosa il popolo ha bisogno di essere liberato.
Il discorso degli studenti continua: “Domani saremo padroni del nostro destino. Domani comincerà una nuova epoca che non terminerà più. Noi, il popolo, decideremo chi ci governerà mediante elezioni popolari. Domani, finalmente, la monarchia sarà sostituita dal popolo. Libertà! Liberta! Liberta!”.
Il servitore corre dal suo “amo” (padrone) urlando: “È un disastro, un disastro!”.
Il padrone chiede: “Cosa succede?”.
“Deve fare qualcosa, deve fermarli!”.
“Fermare chi?”.
“Un gruppo di studenti che vuole ingannare la gente mettendogli in testa che può essere il popolo che decide chi deve governare”.
Il padrone guarda un disegno su un volantino che gli studenti hanno fatto girare tra la gente: “Allora è questo che significa la piramide invertita: il popolo sta sopra e chi ostenta il potere sotto”.
Il servitore continua obiettando: “All’università si va per studiare, non per confabulare, non per rovesciare il mondo”.
Ma il padrone osserva: “Non mi sembra male che il popolo abbia libertà e diritto di decisione”.
Il servitore sconcertato: “Ma lei vuole che finiamo tutti nella merda? Senza nessuno che ci governi significa essere dei senza Dio!”.
“Non è detto che debba essere così. Governerebbe qualcuno eletto dal popolo. Già i greci vivevano così”.
“E dove sono finiti i greci? La gente non è preparata per decidere”.
“Si può imparare col tempo”.
“Ma che imparare e imparare! Per questo si è fatti o non si è fatti, si nasce o non si nasce. O forse il panettiere sa cos’è meglio per tutti?”.
“Il panettiere sa cos’è meglio per lui e per questo sa cos’è meglio per noi, suoi uguali.”
“E il panettiere ci difenderà anche quando ci invaderanno? Perché senza un re che ci difenda siamo persi!”.
“Il re difende solo se stesso e lo fa mandano la gente del popolo a morire al fronte. Anche questo potrebbe cambiare!”.
“La vita è così perché deve essere così! Chi deve comandare è il re perché si prende cura di noi per grazia di Nostro Signore!”.
“Anche tu hai voluto cambiare le cose molte volte”.
“E tutte le volte che ci ho provato ho fatto un casino. Signore, io sono un po’ lento di comprendonio, come la maggioranza delle persone. Per questo abbiamo bisogno che qualcun altro decida per noi!”.
“Questo è quello che vogliono farti credere. Non te ne rendi conto? Non farò nulla. Non sono nessuno per ostacolare l’andamento della storia”.

In che epoca collochereste questa conversazione?
Nel Rinascimento? Durante l’Illuminismo? Nel Novecento? O ieri?

L’ho tratta da un telefilm spagnolo ambientato durante il Siglo de Oro, sotto il regno di Felipe IV a metà del Seicento.
Il telefilm è El Águila Roja (puntata 98, minuti 27-31). Il protagonista è un eroe che difende il popolo ed è affiancato da un servitore, nel pieno stile spagnolo del Quijote accompagnato dal fedele Sancho. Cervantes spesso metteva in bocca al “criado” la saggezza popolare, forse più vicina al vero e alla “cordura” di quanto non lo fossero le visionare parole di un nobile colto.
Mi chiedo se anche nella conversazione sopra riportata la saggezza popolare possa essere più vicina ad una corretta interpretazione del mondo di quanto non lo sia la visione degli studenti “illuminati” e di un uomo colto.
Ovviamente si tratta di una conversazione anacronistica che però mi permette di fare delle riflessioni.

La questione che vorrei sollevare è: chi decide chi ha torto o ragione nel caso sopra citato, come anche in moltissime altre questioni? Se tutti siamo uguali, la mia opinione vale quanto quella di un altro e se non c’è un metro di misura condiviso nessuno potrà giudicare.
Non possiamo risolvere la questione con il rispetto. Certo rispettare le opinioni altrui è bello, ma non è sempre possibile e in alcuni casi nemmeno auspicabile.
Chi decide cos’è giusto e cos’è sbagliato in fatto di religione, politica, moralità, sesso, vita, morte, etc.?

Studiando in questi giorni la storia e la letteratura spagnola, che per molti versi si accomunano alla storia e alla letteratura europea, mi rendo conto della presenza di una continua alternanza e oscillazione di idee e movimenti che sembrano essere metafora dei cambiamenti che avvengono anche nella vita dei singoli.
Per tutto il Medioevo e fino al Quattrocento e ai Re Cattolici prevale una visione teocentrica, in Spagna come in Europa. Nel Cinquecento, con l’avvento dell’Umanesimo e del Rinascimento, passiamo invece ad una visione antropocentrica, per poi ritornare a porre Dio al centro dell’universo durante il Seicento.
Nel Settecento si diffondono le idee illuministiche che pongono nuovamente al centro l’uomo e la ragione. Ma nella prima metà dell’Ottocento il Romanticismo incrina l’idea che si possa completamente fare affidamento sulla ragione e che forse un ritorno alla fede possa aiutarci a comprendere meglio il mondo che ci circonda con le sue contraddizioni e a farci sentire meno soli e spaventati di fronte alla natura. La seconda metà dell’Ottocento riporta però l’Europa con i piedi per terra e ad una visione più realistica: si assiste infatti ad una notevole evoluzione scientifica e nel contempo si diffondono le idee di Darwin.
Col Novecento si diffondono le avanguardie e tutti sembrano sperimentare tutto alla ricerca di risposte che i secoli prima non hanno dato (forse perché le risposte non c’erano o erano diverse dalle nostre aspettative).
Ed oggi? È difficile leggere il presente. Non abbiamo il vantaggio del senno di poi. Comunque l’idea generale è che vada bene tutto: puoi credere in Dio o non crederci, l’importante è che tu non faccia crociate in nome di Dio o di un non-dio. Perché in realtà le crociate le fanno pure gli atei, gli agnostici, o chi ha come dio la Scienza, il Denaro, la Politica o qualsiasi altra cosa.

L’umanità ha sperimentato forme di governo diverse, ha provato correnti filosofiche, religiose, letterarie e scientifiche differenti. Eppure, dopo millenni di storia, continua a porsi le stesse domande.
Spesso la vita di ogni singolo individuo non è molto diversa dalla storia dell’umanità. Ognuno continua a sperimentare idee e visioni del mondo, alla ricerca della più giusta o della più adatta a sé.
Se in un momento dato governa la destra, allora la critichiamo e passiamo ad un governo di sinistra, per poi tornare alla destra in un loop infinito.
Se governa un monarca pensiamo che le cose andrebbero meglio se a governare fosse il popolo, per poi capire che nemmeno così funziona.
A volte crediamo in Dio perché ci è stato insegnato o non ci crediamo, sempre perché così ci è stato insegnato.
Poi alcuni perdono la fede perché non capiscono il perché del dolore e delle sofferenze umane, mentre altri, per lo stesso motivo, ricercano Dio e lo trovano.
Crediamo che tutto questo in fondo rientri nella libertà di scelta. Ma è davvero così ininfluente quello in cui crediamo?

In questi giorni penso spesso alle parole del filosofo spagnolo Ortega y Gasset:

«Massa è tutto ciò che non valuta se stesso - né in bene né in male - mediante ragioni speciali, ma che si sente "come tutto il mondo", e tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a suo agio nel riconoscersi identico agli altri.»

Allora è questo il punto? Abbiamo bisogno di sentirci identici agli altri?
Per sentirsi parte degli altri a gennaio di quest’anno molti hanno sostituito la loro foto profilo nei social con la scritta “Je suis Charlie” e ora, a novembre, lo fanno con una bandiera francese.
Capisco lo spirito di solidarietà e lo rispetto, ma mi chiedo se facciamo le cose semplicemente perché le fanno gli altri o se siamo consapevoli di quello che decidiamo. Ricordiamoci che ogni decisione che prendiamo ha delle conseguenze.
Personalmente non metterò nessuna bandiera sul mio volto perché credo che siano proprio le bandiere a creare le divisioni tra gli esseri umani. Rispetto chi la pensa in maniera diversa da me, ma credo nella necessità di un metro di misura comune per determinare se ciò che pensiamo e facciamo sia giusto o sbagliato, altrimenti tutto diventa opinabile e tutti possiamo agire come meglio crediamo.
In questioni di poca importanza forse possiamo dare libertà di scelta e opinione, ma chi decide in caso di vita o di morte?


Io ho trovato il mio metro di misura: Geremia 10:23!

sabato 1 agosto 2015

La forza del destino

Sette minuti e mezzo di sinfonia; un’opera nell’opera è l’ouverture della Forza del destino di Giuseppe Verdi.
Archi e flauti - impetuosi i primi, dolci i secondi - introducono il tema dell’inesorabilità del destino al quale nessuno di noi può sfuggire.
C’è chi crede al destino e chi non ci crede, ma quando leggiamo un romanzo o, come in questo caso, ascoltiamo un’opera lirica, firmiamo un patto letterario in cui accettiamo di credere a tutto ciò che ci verrà raccontato, almeno per la durata stessa del racconto.
Quindi qui accettiamo inesorabilmente di cedere alla forza del destino. Ascoltando la sinfonia iniziale entriamo nel mondo in cui sarà la sorte a decidere la piega che prenderà la nostra vita. Una sorte spesso crudele, dura e impetuosa come la musica delle trombe e dei violini. Ma la vita ci concederà anche dei brevi e dolci momenti di tregua sulle note dei flauti.


Sei solenni squilli di tromba, seguiti da tormentati violini e subito la dolcezza dei flauti e dei violini acquietati. Poi riprende nuovamente l’alternanza impeto-dolcezza, preannunciando le due sostanze di cui è fatta la vita: inquietudine e pace.

domenica 12 luglio 2015

GACETILLA DE PRENSA

“Regina e Marcelo, un duetto d'amore” es la reciente traducción al italiano de Caosfera Edizioni 2015, la novela histórica de Ana María Cabrera, editada en Buenos Aires por Editorial Sudamericana en 2001 y por Emecé en 2008. En  2013 fue traducida al portugués y publicada por la Oficina do Livro, editora del grupo Leya.
Regina Pacini fue la primera y única dama extranjera de presidente argentino. La famosa soprano portuguesa era hija de un tenor italiano y se casó con Marcelo T. de Alvear, presidente argentino en el período 1922-1928.
La primera presentación de la novela fue realizada en el Teatro Regina, de Buenos Aires en 2001. En 2014 la revista del Teatro Colón mostró un extenso reportaje a la autora en la que explicó los motivos de su elección del personaje, “Lo que me gustó rescatar de Marcelo Torcuato de Alvear en este libro fue, no su parte política – que ya conocemos –, sino su amor por la ópera, por la música y por la cultura argentina. Y también que apoyó, ahí sí, a su mujer, colaborando en la creación de la Casa del Teatro”.
La traducción de la novela es de Rossella  Scatamburlo, graduada en Lengua en la Universidad Ca’Foscari de Venecia. La presentación de la obra se realizará en Venecia.
Para mayor información consultar en:

Rafael R. Sirvén



“Regina e Marcelo, un duetto d'amore” (Caosfera Edizioni 2015) è il titolo dell’appena pubblicata traduzione italiana del romanzo storico di Ana María Cabrera, edito nel 2011 a Buenos Aires dalla Editorial Sudamericana e nel 2008 da Emecé. Nel 2013 fu tradotto in portoghese e pubblicato dalla Oficina do Livro, del gruppo Leya.
Regina Pacini fu la prima e unica donna straniera di un presidente argentino. La famosa soprano portoghese era figlia di un tenore italiano e sposò Marcelo T. de Alvear, presidente dell’Argentina tra il 1922 e il 1928.
La prima presentazione del romanzo si svolse al Teatro Regina, a Buenos Aires nel 2011. Nel 2014 nella rivista del Teatro Colón apparve una lunga intervista nella quale l’autrice spiegò i motivi per cui aveva scelto questo personaggio: “Ciò che in questo libro mi è piaciuto mostrare di Marcelo Torcuato de Alvear non è stata la sua vita politica – che già conosciamo – ma il suo amore per l’opera, per la musica e per la cultura argentina. E anche il fatto che sostenne sua moglie contribuendo alla creazione della Casa del Teatro.”
La traduzione italiana del romanzo è stata fatta da Rossella Scatamburlo, laureata in Lingue all’Università Ca’ Foscari di Venezia. L’opera sarà presentata prossimamente a Venezia
Per ulteriori informazioni e per acquistare il libro visitate il seguente link:

mercoledì 1 luglio 2015

Tonolo dei golosi

Entro nella pasticceria di Tonolo a Venezia. C’è ogni sorta di leccornia per soddisfare i gusti anche dei palati più esigenti.
Le ordinazioni infatti hanno un ventaglio quasi infinito di varianti.
Macchiato caldo, cappuccino tiepido, con poca schiuma, orzo lungo, caffè decaffeinato, con zucchero di canna, edulcorante, fruttosio o miele. Succhi di frutta e spremute.
Croissant alla crema, alla marmellata di mirtilli, con miele, più o meno cotti, brioche con semi di papavero, uvetta, cannella, mandorle tostate o pistacchi.
Bignè e biscotti di ogni tipo.
Prima che cominci a girarmi la testa seguendo le altre mille possibilità e combinazioni, ordino il mio bignè alla crema di cioccolato fondente. Mentre la glassa si scioglie lentamente sulle mie dita scaldate dalla tazza di uno schiumoso cappuccino, penso di essere entrata nel girone dei golosi. Il canto VI dell’Inferno.

Volti nuovi e volti consueti
mi veggio intorno, come ch’io mi mova 
e ch’io mi volga, e come che io guati. 
Sovra la gente che quivi è sommersa
poso i miei occhi curiosi.
Simili a Cerbero, come fiere crudeli e diverse
vorrebbero avere tre gole per poter mangiare
ogni ghiottoneria che si presenta ai loro occhi.
Caninamente latrano mentre chiedono
chi un croissant ai frutti di bosco,
chi un bignè alla crema,
chi un cappuccino con soffice schiuma.
Briciole grosse e gocce di  caffè nero
cadono al suolo, mentre per l’aere
sale il profumo di zucchero a velo.
Li occhi spalancati, la barba unta
e il ventre largo e imbrattate le mani
a spintoni avanzano verso il banco
che ogne tentazione cela sotto il vetro.
Urlar li fa la folla come oche.
Entro, mirando le facce lorde
de l’anime che volgonsi e, con bocche aperte,
divorano bramose le paste.
Passo anch’io agognando il pasto,
tra l’ombre, tutte quante, che si racquetano
solo dopo che il croissant hanno mangiato.